venerdì 11 aprile 2008

4/5


E’ una coincidenza. Ma le coincidenze non esistono. Kurt Vonnegut.

La coincidenza che in questo caso si fa motore è la connessione/combinazione tra opere di artisti che operano sullo stesso territorio fiorentino. Tale incontro però è sollecitato dal luogo anomalo di villa Schneiderff che mostra sulle sue pareti lo stesso paesaggio collinare che vediamo affacciandosi dalla finestra. La riflessione che ci permettono di fare questi artisti va molto più in la di una semplice opposizione tra i parametri di Natura e artificio, finzione e verità, manufatto e oggetto trovato. Infatti, il discorso di fondo che emerge sull’idea di decorazione viene affrontata da Fei con un approccio di nominalizzazione delle cose che non esclude però, ma anzi rafforza l’approccio invece di evocazione di visione tentato da Smaldone, Ghioni, Sugahara e Loria. Questi artisti che utilizzano il disegno all’interno della tecnica pittorica sviluppano una ricerca tra loro molto diversa, ma ciò che li accomuna è una lotta estenuante tra l’oggetto rappresentato che si manifesta in forme pure e la superficie che lo accoglie. Questo atteggiamento all’inizio del 900 era uno degli elementi che aiutava nella lotta contro l’illusione figurativa a favore della verità della pittura: rappresentare la concretezza della pittura senza creare uno spazio illusorio separato dallo spazio reale. Con questi artisti questo movente diviene l’oggetto/soggetto stesso da indagare con le loro rappresentazioni: i mezzi con cui la pittura si realizza. Gli elementi all’interno delle loro immagini ci appaiono così da una parte conosciute e dall’altra misteriose. Questo perché lo spazio è infinito, non ci sono coordinate spaziali. I cervi avvolti dalla nebbia colore di Smaldone rimandano alle macchie volatilizzanti di Tomoko che si perdono nelle strutture di Loria e che si confrontano con i cerchi concentrici tra le forme pulite e arcaiche di Eloise Ghioni. Questi gesti del fare pittorico dialogano perfettamente con le fotografie degli oggetti del quotidiano che si stagliano su fondo nero di Carlo Fei.
Quando in un territorio scopriamo nuove sfumature siamo portati a vedere tutto il resto sotto una nuova luce. La mostra 4/5 tenta un dialogo improbabile e impensabile che introduce una nuova dimensione contagiante per nuove future relazioni. La mostra propone ricerche talmente autonome che per strano effetto di opposti si coagulano per spazio e tempo in una lettura e riflessione comune sull’idea di rappresentazione e di nascita dell’opera come primo confronto con il supporto che la accoglie. Misurazione, dominazione ed uscita da tale supporto: la superficie fumosa di gesso e colore che rivela o ingloba forme di animali di Andrew Smaldone, il ferire con perforazioni precise a formare cerchi perfetti con cui ordina la superficie delle scatole/quadri di Eloise Ghioni, gli incastri tra geometrie minimaliste che si confrontano e stagliano con superfici monocrome liquide di Stefano Loria, o le muffe o esplosioni cosmiche di Tomoko Sugahara. Queste fantasie di forme/materie concretizzate in esperienza visiva contrastano e prendono nuovo senso rispetto al lavoro di Carlo Fei che da sempre isola singoli elementi del quotidiano mostrandoli in tutta la loro inquietante irrealtà al limite con forme pure astratte. Questo è evidente con la serie di batterie per auto, per i ninnoli portafortuna, o per i numeri al neon che è la tautologia dello scatto fotografico che rappresenta un corpo di luce riattivato poi autonomamente dall’effetto light box. Questa sua vena nominalista porta quell’ elemento rappresentato come a stupirsi della sua stessa scoperta di esistere e di essere visto come se avvenisse per la prima volta. Questo atteggiamento sta alla base anche del lavoro ideato per la mostra. Lettere d’oro tridimensionali per il fatto di essere fotografate su fondo nero non ci fanno più comprendere la loro dimensione. Le lettere da lontano sono una macchia. Da vicino portano su di loro i segni della manualità con cui sono realizzate. Nel mezzo della modalità di visione, come lo stato di limbo, vi è la vertigine di un nome che contrasta con la domanda sulle proporzioni, identità e possibile collocazione nel mondo di tale scritta: CARLO. Carlo si riferisca a tutti i Carli? E’ l’essenza dell’essere Carlo come Ernesto per Oscar Wilde, un nome indossabile da tutti? Oppure è l’incrinazione dell’motto minimalista quello che vedi è quello che è? Noi vediamo lettere galleggiare su fondo nero, ma cosa è in realtà? Quello che osserviamo è un modo di vedere una cosa prima che prenda posizione nel mondo e sia usata, quindi è un’idea. In questo senso il lavoro di Fei è una destrutturazione dall’interno dello still life classico di ascendenza americana anni ‘50. Lo still life punta a esaltare un elemento del reale considerandolo però ancora parte del reale. Nelle sue opere prevale l’equivoco che l’oggetto che si mostra non sia del nostro reale o che lo sarà solo in futuro. Proprio per questo atteggiamento simile il lavoro di Fei si relazione con i quadri presenti nella stanza di villa Schneiderff a Bagno a Ripoli, Firenze . Infatti, anche se le opere pittoriche presenti in un certo senso sono frutto di un approccio opposto, ovvero sintetizzare tutto il mondo visibile in un confine preciso come quello del quadro, coincidono nel tentativo di recupero dei codici culturali e nel produrre e rivederli sotto un effetto straniante di perdita di memoria degli stessi per avere una nuova verginità visiva. I quadri hanno rapporti diversi tra materia oggetto e supporto, ma l’approccio è lo stesso: un’idea di mondo nella sua interezza che deve dare nuove coordinate al nostro modo di confrontarci con il concetto di rappresentazione e superficie pittorica.
Lo spazio della rappresentazione è l’elemento che accomuna la messa in pratica di questa mostra. Lo spazio rappresentato non esiste, viene negato nel senso copernicano. Ovvero gli oggetti che accoglie non sono costretti a misurarsi con proporzioni precise. Non ci sono linee, non ci sono angoli. Noi che li guardiamo non sappiamo con che tipo di proporzione ci stiamo confrontando. È il limbo di Carlo Fei o è lo spazio del colore di Smaldone da cui emerge la figurazione o sono le variazione dei pigmenti da cui si espande la coscienza del limite cornice di Tomoko, Eloise e Stefano? In questo caso lo spazio non è fisico, ma si fa condizione. È la stanza bianca del finale di 2001 Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick. È quello che vorremmo che fosse: i riferimenti del passato che divengono futuro. Lì attorno non c’era nulla e c’era tutto poiché era lo spazio cosmico. Qua questi elementi si confrontano con la natura, il paesaggio e il germogliare delle cose. Questa dimensione è messa in evidenza per opposizione da Fei che presenta un’assenza di aria e un aspetto surreale di magrittiana memoria. La fotografia come l’attaccapanni (evoluzione di un altro suo lavoro recente in cui ha esposto un’asta con microfono che registra la sua stessa presenza) sono la presentazione di due oggetti del quotidiano che si straniano da se stessi e che così si fanno meccanismi che registrano la presenza dello spettatore e gli fanno porre l’attenzione sul suo essere lì. I due lavori esposti, la scritta CARLO e l’attaccapanni, entrambi dal titolo Doppia esposizione si pongono come perfetta amplificazione delle opere pittoriche che si confrontano direttamente con i tempi della natura e dello sguardo. Queste opere hanno una dimensione evocativa. Realizzando una riflessione sugli strumenti analitici creano una riflessone sulla percezione, sul come si riconoscono le cose del mondo e sulla nostra responsabilità di fruitori di reinserirli mentalmente in esso.

Lorenzo Bruni

english text:

It’s a coincidence. But coincidences don’t exist. Kurt Vonnegut

The coincidence that acts as a catalyst in this case is the connection/combination between artists who are working in the same Florentine environment. But this encounter has been accelerated by the anonymous space of the Villa Scheiderff that itself encorporates on its walls the same hilly landscape that we see from its window. The reflections that liberate the artists go above and beyond a simple opposition between parameters of Nature and artifice, truth and fiction, hand made or found object. In fact, the underlying discussion that emerges regarding the idea of decoration, is taken on by Fei with a nominal approach to things that doesn’t exclude, but rather re-enforces the approach as opposed to the more evocative vision as seen in the works of Smaldone, Ghioni, Sugahara, and Loria. These artists that utilize drawing inside of the framework of painting developing a research between them that is indeed quite different, but that which brings them together is the unending fight between the object that is represented, which, manifests itself in pure form on the surface that inhabits it. This attitude at the beginning of the 20th century was one of the elements that helped in the battle against the illusion of space in a painting in favor of the truth of painting: representing the concreteness of painting without creating the illusion of space separated by real space. The elements seen within their paintings appear as though they were, on one hand, well known, and on the other, mysterious. This occurs because the space is infinite, there are no spatial coordinates. The deer being engulfed in the nebulous atmosphere of Smaldone is also seen in the distilled brush strokes of Tomoko that lose themselves in Lora’s constructions and that are then finally confronted in the concentric circles between the clean and archaic forms of Eloise Ghioni. These painterly gestures are in perfect dialogue with the quotidian photographic objects that hover on a black background in the work of Carlo Fei.
When we discover new subtleties in a familiar environment we are able to see other things and events under a new light. The exhibition 4/5 attempts the improbable dialogue that introduces a contagious dimension for new and future relationships. The show proposes incredibly autonomous investigations that for a their very opposing nature come together in space and time in common reading and reflection on the idea of representation and for how a work is born from a first encounter or relationship with its support. A quantitative evaluation of the authority and escape from this support: the atmospheric surfaces of gesso and color that reveal and consume animalistic forms in the works of Andrew Smaldone, the precise cuts to form perfect concentric circles with that give order to the boxes/paintings of Eloise Ghioni, the insertion between geometric minimalism, which is compared and contrasted on the monochrome, liquid surfaces of Stefano Loria, or the moss or cosmic explosive type forms in Tomoko Sugahara’s work. These fantasies of form/material fixed in visual experience are contrasted and lost in the work of Carlo Fei that has always isolated single elements of the every day showing them in all of their disquieting non reality with pure abstract forms. This is evident with a series of car batteries, in the good luck charms of children, or with the neon numbers that is the tautology of the photographic shot that represents a body of light re-activated by the visual effects of the light-box. His nominal vain brings this representative element as if unbelieving in his own discovery of existence and of being seen as if for the first time. This attitude is at the heart of his project for this show. Three-dimensional gold letters photographed on a black background as a means to confuse our sense of proportion of them. The letters from far away seem like a stain; from close-up, on the other hand, one can see the manual nature in which they were made. These letters hovering in the black, as if in Limbo, one stumbles upon questions and thinks of contrasts about proportion and even, why not, identity and its myriad of connections: CARLO. Does Carlo refer to all Carlos? Is it the essence of being Carlo like Ernest was for Oscar Wilde, a name that could be given to everyone? Or is it the minimalist motto what you see is what you get? We see letters floating on a black background, but what is it in reality? That which we see is a way of seeing something before it takes on a recognizable position in the world, thus an idea. In this sense the work of Fei is a deconstruction of the internal of a classical still life in the American vain of the 50s. The still life aims to exalt an element of the real considering, however, that it is still part of the real. In his work the art work that prevails is the evocation that the object that is show is not from our reality or that it will be only in the future. For this very reason the work of Fei works in relation to the other paintings exhibited in the Villa Scheiderff in Bagno a Ripoli, Florence. In fact even if the painterly works present in a certain sense come about for different reasons, or the bringing about of the whole visible world in a precise work like that of a painting, coincide with the temptation to recuperate cultural codes in producing them, the result is that, under the strange effect of loss of memory, the same works obtain a certain visual virginity. Paintings have a different relationship between material object and support, ma the approach is the same: an idea of the totality of the world that has to give new coordinates to our way of confronting it with a concept of representation and pictorial surface.
The exhibition space is the element that brings together the practical bringing together of this show. The space represented doesn’t exist, the is negated by a Copernican sense of space. Anywhere objects come together there is no need for them to measure themselves against one another. There are no lines and no angles. We the viewer don’t understand with what we are measuring them against. How to we perceive the limbo of Carlo Fei or the figure that emerges from the colors of Smaldone, or the variety of pigment from which expands the conscience knowledge of the frame’s edge in the works of Tomoko, Eloise, and Stefano?
In this case the space is not physical, ma conditional. It is the white room at the end of Kubrick’s 2001 A Space Odyssey. It’s that which we wish it to be: Referents from the past that come together in the present. There was nothing and there was everything as it were because it was a cosmic space. Here these elements confront themselves with nature, the landscape, and the germination of things. This dimension is put before us by the opposition by Fei that presents the absence of air and something of a surreal memory in the manner of Magritte. The photograph like the hat stand (an evolution of another of his recent works where he exhibited a microphone stand that registered his own presence) is the presence of two quotidian objects that are estrange themselves from each other and in this way aid the recording of the presence of the spectator in that particular place. The two works exhibited, the written word CARLO and the hat stand, both entitled Doppia esposizione or double presentation show themselves to be the perfect amplifier for the surrounding paintings that directly confront the nature of time and the gaze. These works have an evocative nature. By realizing a reflection on analytical instruments that create a reflection on perception, on how they are seen in the world and our own responsibility as consumers to reinsert them to there natural state.

Lorenzo Bruni


Per informazioni e appuntamento contattare: Rossella Tesi (Kore arte contemporanea)
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come arrivare a Villa Schneiderff / how to arrive at Villa Schneiderff


planimetria / planimetric view